|
Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera. Or.: Cile, Brasile 2008. Dur. 98’
Si fa chiamare Tony Manero, come John Travolta ne La febbre del sabato sera, ma non gli somiglia affatto. Ha passato i 50, non è bello, non è atletico, balla da cani. E non vive a New York ma a Santiago, nel 1978, in piena dittatura. Ecco perché la sua unica speranza sono i concorsi per sosia con cui nel Cile di Pinochet altri emarginati come lui cercano uno straccio di identità e insieme un modo per campare. Ma Raul non è solo un disoccupato, fissato con quel film che vede e rivede in perfetta solitudine nei più pidocchiosi locali della città. È anche un folle pronto a tutto, ma proprio tutto, per raggiungere il suo scopo. Ci voleva un cileno nato nel 1976, tre anni dopo il golpe che abbatté Allende, per trasformare il più famoso musical degli anni 70 in un horror sociale, ovvero una strepitosa metafora della dittatura e dei rapporti fra il centro e la periferia dell'impero. Condotta senza mai salire in cattedra, ma con un senso così solido (e sordido) del quotidiano che ogni dettaglio parla. Mangiare, ballare, arredare la sua pseudo-discoteca, uccidere. Per Raul/Tony Manero non fa differenza. Dietro questa piccola storia ignobile c'è una grande Storia, ancora più orribile, che non è ancora finita. Pablo Larrain è solo al suo secondo film. Con questo ha vinto a Torino. Aspettiamo fin d'ora il prossimo. (Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 17 gennaio 2009) |