Recensioni vincitrici sezione biennio

edizione 2005

Il battello ebbro della fantasia sconfigge i granitici sussulti della meccanicità insensibile

di Tomaso Aramini

Libero. Concezione del mondo. Non spettacolo. Critica all’indifferenza del pensiero immobile. Evasione dal disastro oscuro degli Analfabeti emotivi. Specchio dove le idee fluttuano per aria come le foglie in autunno. La settima Arte, per Majakowskij, è visione del mondo. Ma Finding Neverland è di più. Vede attraverso James Barrie, l’eterno Peter Pan con lo sguardo pieno di anima e tristezza , il delirio, il fantasma delle esistenze impassibili. Non solo intreccio, bensì favola sulla vita, ritratto dell’oblio dell’indifferenza, porta aperta sulla magia del sogno. Sofferenza che diventa poesia. Letta e impersonificata dalla stella nera di Hollywood, il palindromico trasformista Johnny Depp. Edward Scissorhands di Tim Burton ricorda qualcosa? Lui è l’anti-eroe, un reietto. L’emarginato in una società crudele nella sua normalità. E’ il maledetto, il trasgressivo. L’ultimo eroe tuono e fulmine (sturm und drang), l’ultimo eroe romantico. Da From the Hell, ispettore oppiomane dedito all’assenzio a The Pirates of Carrabbiean, pirata gentiluomo perennemente delirante, John Christopher Stench III, in arte Depp, recita nell’urlo, nell’agonia, nella decadenza della società consumista. In Finding Neverland non è diverso. E’ il viaggio tra dolore e desiderio sulle ali della genialità del drammaturgo James Mathew Barrie, uomo di grande fantasia, costretto a scrivere commedie per il vuoto borghese di inizio Novecento e ad alimentare il lusso di una moglie arrivista che non lo comprende. Alle sue prime non guarda lo spettacolo; esse sono tempeste di tristezza, isole dove non sorge l’alba, recite ricche soltanto di tormento. James preferisce guardare lo sbadiglio della società del tempo trasformarsi in lungo sonno teatrale, dal sipario dove può ancora nascondersi, dove può sfuggire ai pensieri di ferro. Ma cosa cerca questo viandante pellegrino avido di immaginazione e speranze? James è un uomo che ama le cose semplici, la natura, Portos, il suo cane, la quiete del parco di Kensigton su una delle sue innumerevoli panchine, barca e oceano di libertà per evadere dal dolore del vivere fasullo. Spesso gioca con Portos al parco. Con gli occhi luccicanti di curiosità scruta, sbircia, osserva e scrive appunti disordinati sul suo viaggio senza tempo e spazio. Legge anche. E’ sul giornale che trova un’apertura, ritagliata dalla cameriera solerte, per non fargli leggere i commenti malevoli della stampa sul suo ultimo fallimento. Grazie a quel ritaglio, specchio e finestra sul mondo, vede una signora, (Kate Winslet), una fata, una ninfa, con i suoi quattro figli giocare e ridere come una bambina. Quella bambina assieme ai suoi figli diverrà una musa ispiratrice, e James un domatore di orsi, un indiano, un prestigiatore, un avventuriero. Dal nuovo vivere il drammaturgo sognatore trarrà esperienze, tra i dubbi del suo impresario di teatro (un pragmatico ma magnanimo Dustin Hoffmann) e la severità della madre di Sylvia (Julie Christie), per comporre la commedia che non solo gli darà il successo e il tripudio ma che gli risveglierà i sentimenti. E non solo: Sylvia, vedova povera, conosce la bellezza,la gioia della vita e piano piano lo porterà dove lui avrebbe sempre voluto essere, sull’isola che non c’è. Il posto dove ogni adulto può ritornare bambino, un eden dove la balena parlante dell’immaginazione torna a cantare storie. Assopendo il ticchettio del tempo. Dov’è Neverland? Ovunque la voglia di sognare è voglia di sperare, ovunque ci sia un’alba dove cantano gli usignoli, ovunque sia sempre mattino dello spirito. «Noi non siamo che fanciulli invecchiati che alla sera vanno a letto arrabbiati.» (Carol). Con la signora Davis non si invecchia fino a quando gli aquiloni volano alti nel cielo. E’ una donna che conosce la poesia della vita e sa trasmetterla, anche se stanca e ammalata. I suoi figli sono le figure ispiratrici di Peter Pan, sanno volare sopra le tristezze di questo mondo, come la loro madre ignora la tubercolosi. E’ una donna che sa farsi amare da un uomo che spera ancora di sognare. James porterà in teatro la storia di Peter Pan rivista dalla sua immaginazione, dove gioco e sogno si intrecciano e dove l’adulto ricorda di essere stato bambino. Un successo, ma Sylvia è molto ammalata. James va a trovarla, le porta in casa la commedia. Non solo la commedia. Per lei crea l’isola che non c’è, dove ogni uomo può essere quello che sente. Scena chiave: James scende con lei da una scala a chiocciola per un istante eterno, prendendola per mano. Sylvia lascia la mano di James e si addentra sull’isola. Lei è la meraviglia dell’isola . Sarà una fata spenta dalla tubercolosi. James dirà al giovane Peter, il più piccolo dei quattro orfani, di non essere triste: in ogni momento della sua vita potrà raggiungere la mamma con l’immaginazione. Ultimo struggente capitolo: la panchina vuota dove James e Peter volando come un aquilone capiscono che l’ isola "c’è". (Primo classificato sezione biennio, Scrivere di Cinema 2005)

La schivata - recensione

di Christian Michilin

Il film La schivata di Abdellatif Bechiche, ambientato nei quartieri periferici parigini, parla di una compagnia d’adolescenti impegnati nel preparare lo spettacolo di fine anno scolastico Il gioco dell’amore e del caso di Marivau. L’adolescenza, una fase giovanile ricca di grandi contraddizioni, il film vuole rappresentare i ragazzi come sono, con le proprie paure, le insicurezze, l’arroganza, la strafottenza, gli amori, la dolcezza e i problemi di una vita difficile. Le macchine da presa concentrano il loro obbiettivo su due personaggi principali: Krimò e Lydia. Il primo, che è appena stato lasciato dalla sua ragazza, compra il ruolo di Arlecchino da un suo compagno di classe per poter recitare accanto a Lydia, di cui si è innamorato. Quest’ultima, sogna di diventare un’attrice e maschera i suoi sentimenti e la sua insicurezza vivendo la vita nei panni della donna ricca e arrogante che deve rappresentare. Krimò, non riuscendo ad immedesimarsi ed entrare nel ruolo di protagonista che doveva rappresentare è costretto ad abbandonare l’esperienza iniziata. Lydia che aveva sempre rimandato la risposta del suo corteggiamento, decide di provare a chiarirsi con lui, ma questo, deluso rinuncia anche a lei. Un film impegnativo, difficile da comprendere, è il linguaggio la caratteristica fondamentale che distingue questo film: stereotipato, ricco di parolacce ed insulti; alla minima provocazione il tono della voce si altera e comincia un’animata discussione. Un dizionario molto colorito, forse anche troppo esagerato l’intrecciarsi complicato di vicende porta ad una conclusione inaspettata. Un film ricco di messaggi, che forse sono stati trasmessi e riportati in modo troppo esagerato. Un film che vuole dimostrare che anche travestendosi o recitando nei panni di un personaggio a cui si vorrebbe assomigliare, la propria condizione sociale non cambia perché di essa si è prigionieri. (Secondo classificato sezione biennio, Scrivere di Cinema 2005)

Collateral, un film mozzafiato

di Margherita Zanet

Un killer, un tassista, cinque sfortunate vittime e una notte a Los Angeles. Servono forse altri indizi per capire che quello di Michael Mann è un film mozzafiato? L’opera si svolge in una lunga notte a Los Angeles dove un semplice tassista di nome Max (Jamie Foxx), che negli ultimi 12 anni ha condotto una vita abitudinaria, sfortunatamente carica a bordo un cliente che non avrebbe mai voluto incontrare, un pericoloso assassino, Vincent (Tom Cruise), che in quella notte deve uccidere cinque testimoni chiave di un’ inchiesta su un’ organizzazione di narcotrafficanti, i cui capi hanno deciso di ucciderli. A causa di circostanze impreviste Vincent prende in ostaggio Max costringendolo a condurlo da un luogo all’ altro della città per uccidere la sue vittime. Il fattore più interessante del film è sicuramente il rapporto che si instaura tra i due protagonisti, il tassista e il killer, che in apparenza sono diversissimi: il primo è buono e inizialmente un po’ fifone, il secondo è invece freddo e spietato come il ghiaccio. Durante il loro viaggio però, la tensione e la situazione in cui si trovano, li spinge a iniziare un dialogo e con questo pian piano sembra che tra loro si crei come un sottile legame, perché in realtà dentro di loro si nascondono due persone molto simili, essi, infatti, sono entrambi soli e hanno una grande tristezza interiore, e si chiedono il motivo della loro esistenza; ciò mostra del film un coté quasi filosofico. Nel film è presente, inoltre, un interessante gioco pirandelliano delle parti. La sceneggiatura riesce a congiungere comicità e drammaticità profonda in un copione d’ azione. Le scene si svolgono sempre in Los Angeles di notte e il regista per girarle ha usato con bravura una particolare macchina da ripresa digitale: la Thomson Grass Valley Viper Film Strema, con la quale è riuscito a riprendere tutte le scene notturne in modo da renderle reali. Michael Mann ha anche avuto l’ intelligenza di affidare la sceneggiatura a un vero scrittore; Stuart Beattie, grazie al quale i dialoghi tra i due protagonisti sono straordinari, secchi,diretti e densi, ma anche ironici e scintillanti. Mann, prima delle riprese ha anche preparato con cura i suoi attori, in modo da renderli il più credibili possibile, visto che entrambi non erano abituati a girare film di questo tipo. Tom Cruise e Jamie Foxx hanno dovuto allenarsi a lungo per interpretare le loro parti: il primo per dare credibilità al killer si è allenato con un istruttore dei corpi speciali militari; l’ altro si e a sua volta allenato in un circuito da corsa. Questa è un’ opera affascinante e coinvolgente che fa trattenere il respiro, che condensa due vite nell’ arco di una notte; sembrano persino scelte a caso tra quei sei miliardi di persone che popolano il nostro pianeta e che, secondo il killer, sono assolutamente indifferenti l’ una all’ altra.

(Terzo classificato sezione biennio, Scrivere di Cinema 2005)


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