Quando, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, il cinema italiano assunse la parvenza più ravvicinata di industria cinematografica, il proliferare dei generi ne testimoniava, da un lato l'avvenuto cambiamento e dall'altro ne costituiva quella spina dorsale che permetteva per di più, con i suoi incassi e le sue esportazioni, di far vivere il cosiddetto cinema d'autore. Nacquero così in quegli anni generi tipicamente italiani come i peplum o i musicarelli mentre altri, già presenti nel cinema hollywoodiano in particolare, venivano declinati secondo il genius loci come la commedia all'italiana, gli spaghetti western, i poliziotteschi. Un tipo di film che, in quei decenni d'oro del cinema italiano, è stato prodotto in quantità industriali e che ha avuto molto successo è stato il film ad episodi, prodotto che il cinema italiano ha praticato in quegli anni più di ogni altra cinematografia (a parte quella francese con cui si realizzarono molte coproduzioni), tanto da farlo diventare un genere, anche se non lo si può definire propriamente tale, sia perché attraversa molti altri generi (la commedia in particolare) che ha declinato solo in forme più sintetiche e sia perché è stato un terreno d'incontro tra cinema di genere e cinema d'autore, cosa che peraltro condizionava in maniera negativa le valutazioni della critica quaresimale dell'epoca. Proprio al film ad episodi italiano tra gli anni Cinquanta e Settanta Marco Rossitti, docente di Storia e Critica del Cinema dell'Università di Udine (sede di Pordenone) ha dedicato un denso e ben articolato volume appena apparso in libreria (Il film a episodi in Italia tra gli anni Cinquanta e Settanta, Hybris, Bologna 2005, pp. XIX-390, E15), che nell'editoria italiana sul cinema risulta essere il primo rivolto allo studio di un fenomeno così rilevante nella produzione cinematografica di quegli anni. Produzione che la critica del tempo valutava in maniera negativa cogliendone solo le ragioni di tipo commerciale, accusandola di faciloneria e inoltre di evidente sproporzione tra le intenzioni più nobili, che potevano essere legate ad esigenze, avanzate in maniera lucida da Alessandro Blasetti, di riorganizzazione narrativa e stilistica, legate all'avvento della televisione e alla diffusione di forme comunicative brevi nei vari media dell'epoca, e i risultati che andavano dalle «esercitazioni scolastiche o postscolastiche di giovani registi» al «feriale divertimento per registi anziani». Tali valutazioni negative sono perdurate, sia pure con motivazioni diverse, anche nella critica più recente. Con una ricerca accurata ed approfondita, testimoniata anche da una ricca bibliografia e filmografia, Rossitti riesce invece a cogliere di quella produzione tutti gli aspetti più vari, importanti ed innovativi sia in termini produttivi che ideativi e realizzativi, di una produzione che vide peraltro cimentarsi i più grandi registi italiani di quegli anni, da Rossellini, cui si deve nel 1946 con un capolavoro come Paisà, il primo film ad episodi italiano, a Blasetti e poi, in particolare negli anni Sessanta e Settanta, da Antonioni a Comencini, da Fellini a De Sica, da Visconti a Ferreri fino a Pasolini che con La ricotta, La Terra vista dalla Luna, Che cosa sono le nuvole? e La sequenza del fiore di carta firma non solo alcuni degli episodi più belli di questa produzione ma anche alcuni tra i titoli più importanti della sua intera opera cinematografica. Dopo gli anni Settanta il film ad episodi ha iniziato, sintomo di una crisi che ha colpito l'intera cinematografia nazionale, una progressiva decadenza sia in termini produttivi che artistici, da cui si salvano solo alcuni titoli come Kaos dei fratelli Taviani o Caro Diario di Moretti. Il recente e straordinario successo di Manuale d'amore di Giovanni Veronesi potrà farlo rivivere oppure, come diceva Benjamin, «non si può ricomporre l'infranto»? |